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Smisurata preghiera

marzo 10, 2009

Ah, look at all the lonely people…

I perdenti, gli sconfitti dalla vita. I soli, gli emarginati. Dalla società e da loro stessi. La sensibilità verso di loro è certamente aumentata, nell’ultimo secolo. La secolarizzazione di certi valori antichi e sterili ha avuto certamente le sue conseguenze. Eppure rimaniamo ancora incapaci non tanto di soccorrerli, ma di prendere atto della loro mera esistenza. Non ci conviene, è comprensibile. Confrontarsi con realtà degradate e degradanti è imbarazzante, per chi sta meglio. Il minimo che possiamo fare, almeno, è avere l’onestà intellettuale di non nasconderci dietro ad un dito.

Ieri sera ho visto The Wrestler, l’ultimo film di Aronofsky (quello di “Requiem For a Dream”, quindi non esattamente l’ultimo degli stronzi, ecco). La storia di un uomo che ha sempre vissuto al limite, per se stesso. Quando l’età non glielo permette più, si accorge di essere infelice e tenta di (ri)allacciare rapporti umani tralasciati da tempo. Troppo tempo: prima sembra riuscirci, poi viene schienato da abitudini eccessivamente radicate per essere cancellate con un colpo di spugna. Fallisce un’ultima volta e, fondamentalmente, si ammazza. Il tutto visto dagli occhi del protagonista, vittima e carnefice allo stesso tempo. Sa (e quindi sappiamo) quanto sia importante riuscire a rifarsi una vita e sa che quella che ha appena sprecato era l’ultima occasione. Ha torto, ovviamente, e non fa nulla per giustificarsi con gli altri e con se stesso. Ma serve davvero stabilire chi ha torto e chi ha ragione, quando in fondo rimane solo un dramma umano? È questo che mi ha colpito, della pellicola. Non è epica, non vuole esserlo. Sembra quasi un documentario. Il dolore e il fallimento per quello che sono, personali ed esclusivi. Questa lucidità narrativa produce inevitabilmente un esame di coscienza. Noi, quelli con i corsi universitari pagati e compagnia bella, siamo costretti a chiederci se quello che ci separa da quel perdente del wrestler sia davvero una superiorità di base fatta da una maggiore intelligenza, consapevolezza, responsabilità. Se il motivo del suo fallimento sia un suo semplice avere agito male, e il motivo del nostro successo sia l’avere agito bene. Se il motivo per il quale noi non arriveremo a cinquant’anni senza casa e col corpo distrutto è perché siamo migliori. La meritocrazia è una brutta bestia. Indispensabile a livello pratico, certo, ma profondamente sbagliata a livello ontologico. Ormai è pratica comune tenere di conto dell’ambiente in cui un “perdente” (di qualsiasi tipo. Si tratti di un suicida, di un ladro, un tossicodipendente) è cresciuto, e considerarlo come una attenuante nel caso dovessimo pronunciarci in un giudizio giuridico. La verità è che anche a livello personale, la propensione o meno a lasciarsi andare, a deprimersi, a non avere la forza di reagire o a reagire nella maniera sbagliata è interamente frutto di leggi genetiche. Del caso, insomma. Non è e non può essere colpa, quindi. Certo, come ho già detto è impossibile traslare questo concetto nel diritto, imploderemmo in poco tempo. Ma sarebbe bene tenerne di conto almeno quando pretendiamo di giudicare. La consapevolezza di non essere migliori non può che produrre compassione, che si dice essere la miglior caratteristica umana. Per concludere, ritengo adatta un’altra delle strofe (finali, stavolta) della stessa canzone con la quale ho aperto il post.

Eleanor Rigby died in the church and was buried along with her name, nobody came. Father Mckenzie wiping the dirt from his hands as he walks from the grave, no one was saved.

“No one was saved”, non si era salvato nessuno. Siamo tutti colpevoli, cerchiamo almeno di tenerne di conto.

4 commenti leave one →
  1. asterione88 permalink
    marzo 14, 2009 9:21 PM

    Non mi ero dimenticato di commentarti.

    E’ che ci ho messo tanto per capire questo post – no, davvero, non sto scherzando. Mi ci è voluto un po’ per capire quello che volevi dire – soprattutto nell’ultima parte.

    Non sono molto d’accordo sul fatto che la meritocrazia sia un male, anzi, è un concetto a cui tengo moltissimo, ma non commento per parlare di questo, quanto per parlare del punto in cui dici (scusa se riassumo velocemente il tuo messaggio) che essere ciò che siamo non è questione tanto di ambiente quanto di qualcosa che hai ereditato a livello biologico. Su questo sono essenzialmente d’accordo (anche se io credo che l’ambiente abbia spesso un’influenza non trascurabile: i geni definiscono il potenziale che hai, l’ambiente quanto lo sviluppi), però mi trovo perplesso quando parli di mancanza di colpa.

    Cioè, tu dici che, siccome le nostre scelte sono derivabili da caratteristiche in fondo ereditarie, non abbiamo colpa. Una riflessione interessante – se sei aggiornato riguardo le novità delle neuroscienze, saprai che da poco più di un anno sono arrivate conferme del fatto che le nostre decisioni vengono prese del cervello prima di essere rese coscienti – però penso che anche se una decisione non dipende completamente da noi, questo non annulli il concetto di colpa o di responsabilità. Ad ogni modo, se estremizzassimo questo discorso magari applicandolo al diritto, come dici giustamente, “imploderemmo”, nel senso che non faremmo altro che assecondare passivamente i nostri desideri, tanto non è colpa nostra. Insomma, sarebbe il caos.

    Comunque, un post davvero interessante!

    • Alessandro Ruocco permalink
      marzo 23, 2009 7:34 am

      Ti dirò, una parte di me ha effettivamente parlato di meritocrazia in questi termini proprio per vedere cosa TU avresti risposto, dato che più volte ti avevo sentito esprimerti a favore del concetto di meritocrazia e della sua applicazione. Vedi, a me la filosofia “da Lista Aperta”, non piace. Non voglio affermare una presenza, ma difendere delle idee (o dei concetti). E’ ovvio che non possiamo modificare il diritto in base a cosa sarebbe più ontologicamente corretto (in questo caso prendere atto che qualsiasi decisione presa dipende da un codice genetico alla quale costruzione non abbiamo partecipato, e mi sembra che tu abbia più o meno concordato con quanto ho detto). Il concetto di responsabilità giuridica si regge interamente sull’esistenza del libero arbitrio. Quello che voglio sottolineare io ha però validità sul piano etico. Se non teniamo di conto certe cose si cade irrimediabilmente in ragionamenti fallaci, che possonoo talvolta avere anche conseguenze gravi. Quante volte si sente dire “eh, a quel pedofilo/stupratore/pino mauro si dovrebbero tagliare braccia/gambe/pene e cospargere di sale i moncherini ecctetera perchè se lo merita”? Ecco, questo è sbagliato. perchè l’unica cosa che ETICAMENTE separa il benpensante di turno da Pino Mauro è solo il caso. Ma anche andando più nel piccolo, quante volte si sente parlare (a spoposito, ovviamente) di depressi “che non vogliono essere felici”, di anoressiche “che fanno i capricci e non vogliono mangiare”, di disgraziati “che non hanno voglia di trovarsi un lavoro”. Insomma, puoi continuare anche te.

  2. asterione88 permalink
    marzo 18, 2009 10:03 PM

    Ma perché il mio commento precedente non si vede??!

    • Alessandro Ruocco permalink
      marzo 19, 2009 12:46 PM

      Perchè dovevo approvarlo .-.
      Sto cercando un modo di farli approvare automaticamente, a breve leggo & rispondo seddercaso.

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